di Emanuela Cossetti
Da qualche anno, a Fontecchio, si aggirano abitanti un po’ par-ticolari. Vengono da paesi vicini e lontanissimi e si occupano principalmente di arte. Non sono arrivati tutti insieme, ma come delle note che si accordano su una stessa frequenza. Come se ad un certo punto qualcuno avesse dato un “La” che ha scatenato una valanga di risposte che piano piano sono diventate un’armonia. In effetti questa vibrazione è arrivata proprio dal pa - ese stesso, un posto che vive di desiderio di cultura. A Fontecchio si respira e ci si nutre di interesse, di natura, di arte, di cinema, di letteratura ma anche di qualsiasi proposta interessante venga portata, queste idee sono sostenute da un’amministrazione co - sciente e consapevole, che sostiene in tutti i modi che può, le iniziative che valorizzano il paese e lo rendono un posto aperto e interessante. Un altro modo di raccontare questa storia, potrebbe avere le sue radici nel DNA, e magari in ogni fontecchiano c’è un po’ del Fon - ticulano che ha saputo pensare la città dell’Aquila nelle sue forme, nelle sue strutture, ma anche nella sua interezza e aveva dentro di sé, come molti eruditi del ‘500 il genio dell’architetto, dell’ur - banista, che è, allo stesso tempo, antropologo e sa guardare un luogo comprendendone le sue ragioni e il suo senso profondo. Attraverso e grazie a questa disponibilità e apertura che si è crea - to un ambiente disponibile all’Altro-da-sé, che accetta e accoglie nuove possibilità di comunità, che sviluppa nuove visioni del domani. In effetti attraverso “l’innesto” di alcuni giovani arti - sti nel paese, ormai divenuti abitanti, si è dato il via ad un pro - cesso di trasformazione. I fontecchiani hanno capito una cosa molto importante che non tutte le comunità comprendono… Sull’orlo dello spopolamento dei piccoli borghi e, senza nemme - no forse esserne coscienti, hanno capito che sopravvive solo chi si trasforma, chi ha il coraggio di accettare il cambiamento, han - no capito che il cambiamento stesso, spesso, è quell’ultimo istin - to che ci tiene legati con tutte le nostre forze alla sopravvivenza, come una spinta forte e vitale che arriva spontanea e inesorabile. La trasformazione è il tema di questo KapArtPrize, contest che avviene alla kap, uno degli ambienti di Fontecchio di cui gli ar - tisti si sono presi cura e che hanno “abitato”, risistemandolo, al - lestendolo in molti modi, rendendolo vivo e, “restituendolo” alla comunità, ma modificato, anzi, spesso, ogni volta diverso, in effetti è un ambiente in continua mutazione, che si adatta…E’ un ambiente intelligente, che tende a cambiare secondo le necessità. Un altro luogo trasformato sono Le Officine, ex scuola di Fon - tecchio, spazio in cui ci sono parti per lavorare per artisti e al - tri professionisti residenti e non, e parti per ascoltare, nel quale, sono state ospitate: presentazioni di libri, mostre, incontri musi - cali o teatrali e attività varie. Questo spazio è stato pulito e cu - rato e reso maggiormente piacevole e utilizzabile, è diventato un luogo di incontro, ma anche un luogo di riflessione e una porta spazio temporale su tante altre realtà nel territorio e nel mondo. Luoghi di cultura sono diventati anche le stesse case degli artisti, che durante l’evento: “Niente di speciale” erano aperte e accoglieva - no come fossero tutte insieme una costellazione, un atelier diffuso, i visitatori e coloro che avessero voluto condividere la bellezza del - le opere e degli allestimenti presenti, gli arredamenti sempre pen - sati con gran gusto e profonda comprensione degli spazi nella loro funzionalità. Oppure i due Airport che si sono susseguiti nel paese in diverse case, in cui si vive immersi nell’arte e nella convivialità, dove si possono conoscere e incontrare persone e artisti che vengo - no dal mondo e condividere insieme a loro idee, pensieri e riflessio - ni o semplicemente ascoltare musica e scambiare due chiacchiere. Certamente è possibile comprendere come anche gli artisti che vivo - no e abitano nel paese hanno scoperto qualcosa: senza una comunità, senza un ambiente che ci nutre e che a nostra volta nutriamo, senza una certa qualità della vita, non si riesce a produrre bellezza, ci av - vizziamo come piante secche e perdiamo la capacità di comunicare. E’ interessante come all’interno di queste considerazioni emerga - no spesso alcune parole: ambiente, cura, trasformazione. Sareb - be infatti importante riflettere a questo proposito sul senso della parola Abitare, che viene dal latino Habere, cioè semplicemente avere, perché il modo in cui queste persone “hanno avuto” alcuni luoghi di Fontecchio, non ha affatto a che fare con il possesso, ma principalmente con la cura. Con molta pazienza hanno trasfor - mato tutti questi luoghi in ambienti interessanti, ricchi di stimoli, piacevoli, belli e aperti a tutti. Li hanno resi di nuovo interessanti e frequentabili, in alcuni casi li hanno realmente resuscitati. Fa - cendo pertanto un altro passaggio molto importante: quello della metamorfosi dell’ambiente, ne hanno amplificato le qualità, ren - dendolo maggiormente sensoriale, piacevole, vivo, entusiasmante, donando incondizionatamente quello che sentivano o che li attra - versava, che avevano respirato nel qui ed ora, con verità e liber - tà. Senza, di fondo, voler insegnare niente a nessuno, quasi nella coscienza, come diceva Freud, che l’educazione è uno dei com - piti impossibili, non una specie di addestramento ma piuttosto un incontro unico tra soggetti e tra il soggetto e il suo desiderio.
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